Prima di affrontare l’argomento “educazione”, vorrei riassumere brevemente i concetti “chiave” esaminati nel corso degli articoli precedenti, atti a favorire l’inserimento del cucciolo nella sua nuova famiglia adottiva, quali:
- L’utilizzo di un diffusore ai feromoni di appagamento
- Permettere al cucciolo, almeno durante le prime notti, di dormire in camera dei proprietari
- Come incoraggiare l’evacuazione di urina e feci nell’ambiente esterno
- Come favorire il legame di attaccamento
- L’importanza della socializzazione
Oggi proseguiremo il nostro cammino, esplorando l’aspetto educativo e quanto lo stesso sia legato alla relazione che si viene a creare fra cane e proprietario.
Torniamo quindi al nostro cucciolo, che una volta giunto nelle nostre case, sarà intimorito e spaventato dall’ambiente sconosciuto e dalla presenza di persone, che nella migliore delle ipotesi, ha avuto la possibilità di vedere soltanto due o tre volte. Come aiutarlo a percepirsi parte del nuovo “branco umano”?
Innanzitutto sfatiamo subito un mito: il cucciolo è perfettamente consapevole del fatto che noi non siamo cani, durante il periodo critico del suo sviluppo sociale, le interazioni con la madre e i fratelli di cucciolata si sono fissate come un’impronta (imprinting) nel suo cervello. Da quel momento, il cucciolo ha imparato a riconoscere se stesso e i propri simili, come appartenenti alla specie canina e questo modellerà lo sviluppo del suo futuro comportamento di adulto.
Il cane quindi, non pensa come noi, non agisce come noi e non ha certo i nostri stessi valori… questo è fondamentale comprenderlo, perché buona parte dei conflitti fra cani e proprietari, nascono proprio da una comunicazione scorretta. Dobbiamo quindi sforzarci di comprendere cosa e quando il cane ci sta dicendo qualcosa e adottare una comunicazione che possa essere comprensibile per lui; ma per far questo, dobbiamo innanzitutto imparare a conoscerlo realmente e non limitarci a interpretare il suo comportamento in “chiave umana”.
Molto spesso si sente parlare di “dominanza”, quasi i cani passassero il loro tempo a complottare per occupare una posizione di comando. Del resto ancora oggi si possono trovare addestratori o libri sull’addestramento, che propinano una sorta di decalogo per evitare che il cane, indipendentemente dalla propria taglia, diventi dominante con il proprietario:
- Mangiare prima del cane
- Non farlo dormire sul nostro letto
- Non farlo passare per primo dalle porte
sono solo alcuni dei consigli più classici, che possono spingersi sino a suggerire di “sottomettere” fisicamente il proprio cane, sottoponendolo al “rollover” ossia lo schienamento, per dimostrargli chi è il “capobranco”.
Ora, partendo dal presupposto che il cane non ci considera suoi simili e che in natura i branchi tendono a essere formati solo da individui appartenenti alla stessa specie, ammesso e non concesso, che gli studi condotti in passato su un branco di lupi, messi insieme artificialmente in riserve naturali dall’intervento umano, potessero (e non lo sono) essere una guida per interpretare il comportamento del cane, sorge spontaneo chiedersi: ma se le regole del branco si basano sul comportamento e la comunicazione fra cani com’è possibile che coinvolgano noi umani?
E con questo spunto di riflessione vi lascio e vi rimando per la risposta alla prossima settimana.
Carla Barbetta
Centro Cinofilo Canta Alla Luna